ANNO 14 n° 120
Peperino&Co.
Montedoro a Montefiascone,
l'ennesimo capolavoro
di Sangallo nella Tuscia
di Andrea Bentivegna
07/05/2016 - 02:01

di Andrea Bentivegna

Negli anni venti del Cinquecento ben due calamità attraversarono l’Italia e quindi anche la nostra terra. La prima, nel 1523, è stata la peste. In quell’anno un’epidemia drammatica ha ucciso moltissime persone. È stato allora che gli abitanti di Montefiascone sono diventati devoti di un’immagine della Madonna affrescata in una piccola edicola alle porte del borgo. L’opera era stata realizzata meno di un secolo prima da Antonio del Massaro, conosciuto con il nome di Pastura, ed era divenuta in breve tempo oggetto di preghiera per tutti i sopravvissuti a quella pestilenza.

La fama di quell’immagine, considerata quasi come un reliquia, divenne tale che, non appena l’epidemia si arrestò, venne deciso di erigere in quel luogo una vera e propria chiesa in segno di gratitudine.

Fu proprio allora però che una seconda calamità sconvolse la penisola: il temuto esercito imperiale, i famigerati Lanzichenecchi. Nel 1527 le truppe di Carlo V, che si apprestavano a compiere il ''Sacco di Roma'', attraversarono una Tuscia già in ginocchio, devastandola e terrorizzandola ancora.

Come è naturale, i lavori appena iniziati per la costruzione della chiesa si arrestarono e si dovettero attendere oltre dieci anni perché venissero ripresi. Solo nel 1537 si decise di ricominciare e anzi venne incaricato addirittura Antonio da Sangallo il Giovane, uno degli architetti più importanti dell’epoca, di redigere un nuovo progetto che fosse persino più ambizioso del precedente.

Sangallo, che all’epoca lavorava per Papa Paolo III Farnese, propose un’elegante chiesa a pianta centrale, come già fece per S. Egidio a Cellere, ma stavolta ricorrendo alla forma ottagonale.

Questo tipo di geometria per gli edifici sacri era del resto piuttosto comune in epoca rinascimentale, ne sono la dimostrazione per esempio gli illustri progetti mai realizzati sia di Peruzzi che di Michelangelo per la Basilica di San Pietro a Roma.

Alla geometria sobria che si percepisce esternamente corrisponde uno spazio interno più articolato in cui su ognuno degli otto lati si aprono degli absidi che in un caso, quello principale, forma una vera e propria cappella semicircolare. Il tempietto, sovrastato da una cupola avrebbe dovuto essere coperto da una volta anche esternamente, ma poi fu concluso con un semplice tamburo muratura di pietra -ancora oggi evidente e poco armonico- e una copertura a falde.

Non si tratta però dell’unica modifica apportata al progetto originario. L’idea di Sangallo infatti era assai ambiziosa e prevedeva che la chiesa fosse una parte di un complesso più vasto all’interno del quale sarebbe stato ospitato un grande convento.

Dai disegni originali, ancora oggi conservati agli Uffizi di Firenze, si può intuire la bellezza che l’edificio avrebbe potuto avere, con il massiccio quadrilatero del convento che, sul lato orientale, quello affacciato verso il lago, avrebbe inglobato il tempietto e la sua cupola che avrebbero costituito un’affascinante panorama.

Sfortunatamente i montefiasconesi, superate la peste e la distruzione dei Lanzichenecchi, dimenticarono ben presto la paura vedendo ben presto affievolire il trasporto e la devozione con le quali avevano implorato quell’immagine della Madonna. Fu così che ancora una volta i lavori furono interrotti per essere conclusi, sotto la guida di Pietro Tartarino, solo a metà del Cinquecento con l’impiego di una somma di denaro ben inferiore a quella originaria. Il convento non venne quindi mai realizzato, almeno nel disegno proposto da Sangallo, e la chiesa di Montedoro, alla quale non venne mai costruita la cupola, rimase la costruzione elegante ed isolata che ancora oggi possiamo ammirare.





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